martedì 3 gennaio 2012

Contro l’iniqua «patrimoniale» sulle pensioni

Contro l’iniqua «patrimoniale» sulle pensioni
Il capo dello Stato ha firmato il decreto Monti promulgando la cosiddetta manovra «salva-Italia» che è poi stata approvata dal Parlamento e che meglio sarebbe chiamare, per amore di giustizia e di verità, «patrimoniale» sulle pensioni. La mannaia dell’iniquità si è abbattuta pesantemente sui lavoratori tartassando i pensionati e penalizzando i pensionandi, riducendo drasticamente il potere d’acquisto delle retribuzioni e non affrontando la riforma previdenziale con la dovuta gradualità.Perché se ne è parlato poco? L’omertà, a nostro avviso, non paga. Coloro che pensavano di lasciare il lavoro l’anno prossimo sono rimasti con un groppo sullo stomaco e un cocente rammarico. Un tale blitz il governo Monti ha fatto passare spacciandolo per una manovra equa. In realtà questo governo non fa che scaricare sempre e soltanto sui soliti noti costi socialmente insopportabili per fare cassa. E non è un luogo comune. È la verità nuda e cruda. È un’aggressione alla vita come progettualità l’idea che chi aveva calcolato di andare in pensione con l’attuale legge si ritrovi di botto, dal giorno alla notte, con sei anni in più di lavoro. Mai nessun governo prima di questo aveva costruito una blindatura simile. E con una simile, sfacciata arroganza. Tutte le riforme precedenti, da quella Dini a quella Damiano, avevano tenuto conto della progressione. Non possiamo che chiamarlo un colpo di mano illecito e inaccettabile che azzera i diritti fondamentali dei lavoratori, un’ingiustizia che non deve essere taciuta. Anzi deve essere dichiarata A CHIARE LETTERE.
Una volta il numero magico 40 bastava a garantire di per sé l’uscita dalla scena lavorativa. Ora ci vogliono 41 anni per le donne e 42 per gli uomini. E in più ci sarà la batosta delle penalizzazioni per chi, pur avendo maturato 42 anni contributivi, non avrà raggiunto 66 anni di età. Bisogna crepare sui banchi di lavoro? O forse per salvare l’Italia, come ha detto Crozza, bisogna morire il giorno stesso del proprio pensionamento? Bersani ha invocato misure meno rigide e maggior gradualità. Ma intanto ha votato la manovra. E lui, chi lo voterà più se la manovra passa a queste condizioni capestro e senza alcuna correzione? Dica una parola di sinistra, se ancora è di sinistra e non si è dissimulato dietro il paravento del governo dei banchieri e dei tecnici. Contro i nati nel 1952 è stata perpetrata un’immensa ingiustizia. Sono rimasti solo i sindacati a difenderci in questa lotta contro i partiti. Lo stupore contro il silenzio e l’insensibilità in tal senso sono davvero incredibili.
È possibile che il Pd – che pure aveva votato la riforma Damiano contro lo scalone Maroni, che prevedeva un innalzamento di 3 anni – abbia voluto incassare questa resa? E al costo di un raddoppio? Ovvero di 6 anni? Perché non ha proposto degli emendamenti corposi? Come mai questo silenzio? Forse perché si tratta di un esiguo numero di lavoratori? Ma l’equità non è forse una petizione di principio, qualitativa, e non di mera quantità?
Scriviamo sui blog, nei giornali, nei posti di lavoro che questa manovra rovina-pensionati deve essere modificata, che è possibile trovare un equilibrio diverso per fare cassa. Facciamo sentire la nostra voce umiliata. Ripetiamo, come ha fatto Donadi all’indirizzo di Monti, che l’equità, in questa manovra, la vede solo lui. E a Cesare Damiano diciamo che ha tradito e disatteso le aspettative di chi, solo a novembre, aveva già pensato di uscire dal lavoro.
Ricordiamo ai lettori, per scrupolo e amore di precisione, che non si tratta di difendere le baby-pensioni ma le pensioni di lavoratori che, dopo 37, 38 o 39 anni di contributi, potevano ambire senza vergognarsi di pretendere quello che sembrava un diritto acquisito.
Lo smantellamento sociale è iniziato e forse proseguirà. Ma si ricordino gli uomini politici che esiste quella che gli storici chiamavano un tempo nemesi storica. E un giorno ogni decisione presa oggi, sia a destra che a sinistra, si ritorcerà inesorabilmente contro tutti loro. Sappiano che i lavoratori non sono burattini ma persone viventi e senzienti.
Giuseppe Grasso

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